Eldo Cavalleri

Eldo Cavalleri è stato il damista veronese più forte e più titolato, 5 volte Campione Italiano Assoluto. La grande maggioranza dei giocatori di oggi non ha potuto conoscerlo di persona, ma la sua memoria rimane viva fra gli appassionati.

Eldo Cavalleri nacque nel 1906 in una famiglia numerosa, con 10 figli, tutti maschi, e molto dedita allo sport. Il fratello maggiore Dino fu un giocatore di Serie A molto quotato fra il 1921 e il 1928, e lo stesso Eldo giocò 12 partite con la maglia del Verona nel campionati 1926-27 e 1927-28.

Fu il padre Giovanni ad insegnargli a giocare a dama, ma Eldo poté certamente beneficiare del risveglio del gioco verificatosi in Italia all'inizio degli anni '20: in quegli anni escono infatti diverse pubblicazioni damistiche. A 18 anni vinse un torneo cittadino battendo anche quello che era considerato il migliore giocatore di Verona, Giovanni Fainelli, e l'anno dopo si impose in un torneo giocato in Arena al quale parteciparono i migliori damisti di Lombardia e Veneto.

La consacrazione avvenne nel 1926, a 20 anni. Vincendo il Campionato Regionale Veneto, Cavalleri ottiene la qualifica di Maestro (il 5° nella storia della F.I.D.) e il diritto a partecipare al Torneo degli Sfidanti per il titolo di Campione Italiano, detenuto dal romano Aurelio Tagliaferri, che aveva vinto la prima edizione ufficiale del campionato, organizzata dalla neonata Federazione. L'eliminatoria, svoltasi a Milano dal 22 al 25 maggio, vide il veronese prevalere sui 3 maestri milanesi Lavizzari, Franzioni e Bassani.

Il 12 luglio Cavalleri è a Roma per giocare il previsto match in 48 partite contro Tagliaferri. L'inizio è scoppiettante: nelle prime 7 partite Cavalleri ne vince 6, e ne pareggia una. A questo punto il segretario del Circolo Damistico Romano interviene per chiedere una sospensione "date le precarie condizioni di salute del Tagliaferri". Il romano, molto più anziano del veronese e affetto da disturbi circolatori, era certamente in difficoltà: per trent'anni non aveva avuto avversari capaci di batterlo. Cavalleri, sportivamente, "riconosce lo stato fisico anormale dei suo avversario" e accetta di rimandare la sfida "a quando il Tagliaferri si sarà completamente rimesso".

Il confronto viene ripreso in settembre a Verona, al Palazzo della Gran Guardia. Dopo una fase di equilibrio, Tagliaferri perde altro terreno e così, dopo la 43a partita, quando il risultato è acquisito a favore del Cavalleri con 15 vittorie, 6 sconfitte e 22 patte, abbandona la sfida. Cavalleri è quindi Campione italiano, e può correre al capezzale del padre per informarlo del trionfo.

Nel 1927 è Francesco Lavizzari a vincere il torneo degli sfidanti, ed a presentarsi a Verona il 16 giugno per giocare contro Cavalleri, nel Salone Sanmicheli. Il milanese era stato il più forte avversario del Tagliaferri e del Cavalleri nei due anni precedenti, e nelle fasi iniziali del duello (previsto su 40 partite) si batte alla pari con il Campione. Dopo 23 partite il risultato è di 3 vinte per ciascuno e 17 patte. A questo punto il confronto dovette essere interrotto per impegni universitari del Lavizzari. Il match riprese il 18 settembre, ma, dopo che il veronese ebbe infilato una serie di 5 vittorie consecutive, la sfida prese una piega decisiva, sicché il milanese, alla 31a partita, con un risultato di 3 vinte, 8 perse e 20 patte, decise di abbandonare.

L'anno seguente il Tagliaferri e il Lavizzari non si presentano alle eliminatorie, ed è Luigi Franzioni a vincere il torneo degli sfidanti. Le partite da disputare, questa volta, sono 32, con inizio il 24 giugno nei locali del Caffè della Borsa, ma è ancora il Campione a manifestare la propria superiorità: dopo 9 vittorie, 3 perse e 15 patte anche il Presidente della Federazione deve ritirarsi. Fu proprio a seguito delle vicende agonistiche di quell'anno che il Franzioni matura l'idea di cambiare la formula del campionato: non più un match fra detentore e sfidante (che appariva favorire il campione in carica), ma un torneo collettivo dove tutti i candidati "se la giocassero alla pari". Il Cavalleri, apprese le intenzioni del Presidente, interpretò la proposta come un attacco personale, e se ne adontò, manifestando l'intenzione di ritirarsi dalle gare.

Nel 1929, tuttavia, il Campionato continuò a svolgersi secondo la formula tradizionale, in quanto il Congresso federale decise di soprassedere alla discussione sul merito. Il Cavalleri fu convinto a riprendere le competizioni agonistiche nel corso di una solenne (re-)inaugurazione del Circolo Damistico Veronese, che venne a lui intitolato, il 29 gennaio, nei locali del Caffè della Borsa. Tuttavia anche in quell'anno le defezioni nelle eliminatorie furono parecchie, ed a prevalere fu il ventunenne mantovano Bruno Marchi. Il confronto con Cavalleri ebbe luogo a partire dal 16 giugno, e si risolse ancora una volta a favore del Campione, con 9 vinte, 4 perse, e 19 pari. In seguito, tuttavia, il Congresso Nazionale prese effettivamente la decisione di cambiare la formula del Campionato, secondo gli orientamenti già espressi dal Franzioni, che dovette però subire numerose critiche per la sua gestione complessiva della Federazione, e alla fine dell'anno si dimise.

L'edizione del 1930 venne organizzata a Mantova dal nuovo Presidente federale, Annibale Gallico. Il Cavalleri la disertò, spiegando le proprie ragioni in un comunicato pubblicato sull'"Arena". Ma furono in pochi a partecipare: solo 3. Il torneo fu vinto dal livornese Nelusco Botta, iscritto al Circolo Damistico Ardenzino, che solo da pochi giorni si era affiliato alla federazione. A dimostrazione del fatto che l'avversione di Cavalleri riguardava la formula, ma non le persone, egli decise di lanciare una sfida al nuovo Campione, che in un primo tempo accettò, ma che dovette poi rimandare per impegni di lavoro. La sfida, più volte posticipata, non ebbe mai luogo.

Cavalleri rimase quindi lontano dalle gare ufficiali, come aveva promesso. Tuttavia il tempo assopisce anche i contrasti più duri, e intanto la nuova formula del Campionato si consolida. Il veronese decise allora di tornare a partecipare nell'edizione del 1935, che si tenne a Livorno dal 10 al 19 agosto, e che si preannunciava combattuta. I 16 concorrenti avrebbero disputato delle eliminatorie e poi un girone finale. Risultarono primi a pari punti Cavalleri e Antonio Coppoli, forte giocatore livornese, davanti a Botta. Secondo il regolamento, sarebbe stata allora disputata una "finalissima" fra i due giocatori, che diventò così un nuovo match.

L'epico duello si tenne a Bologna in settembre, nei locali dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Al termine delle 20 partite previste (l'ultima delle quali durò 6 ore e 15 minuti), i due sfidanti avevano vinto 4 partite a testa, e le patte erano state 12. Si giocarono allora 2 partite supplementari, che terminarono ancora pari. Non potendo continuare il match all'infinito si decise di considerare il Cavalleri e Coppoli campioni alla pari per quell'anno.

Nei due successivi campionati d'anteguerra il veronese fu impossibilitato a partecipare, sicché la sua "ripresa agonistica" fu parziale. La famiglia Cavalleri era attiva nel settore del commercio di tessuti, ed Eldo, assieme ai suoi fratelli, gestiva diversi negozi. Prese parte comunque ad un "Gran Gala di Pasqua" (passato alla storia come "Torneo degli Assi") che si tenne a Bologna nel 1937, e che rappresentò una forma di sfida al Campione del 1936 Romeo Vecchini, il quale aveva vinto quell'edizione in assenza dei principali rivali. Cavalleri e Botta giunsero primi ex-aequo, e Vecchini dovette accontentarsi del terzo posto.

Gli anni del dopoguerra furono piuttosto caotici per il movimento damistico italiano, che faticò a strutturarsi in una organizzazione stabile e fiorente. Eldo Cavalleri si tenne ancora lontano dal gioco attivo, ma i damisti veronesi lo vollero sempre animatore del Circolo a lui intitolato, dove egli dava lezioni e contribuiva a formare nuove leve damistiche.

Fu anche convinto a ritornare alle gare ufficiali, ma la partecipazione al Campionato Italiano del 1951 - il primo vinto dal livornese Piero Piccioli - gli fruttò solo il 9° posto. Tuttavia nella "Coppa Tre Venezie" a squadre, nel 1953, assieme a Luigi Tezza e Michelangelo Chesini, si impose davanti ad altre 16 compagini. Nel 1954 rimase memorabile una sfida in 24 partite svolta a Verona, con grande partecipazione di pubblico, contro il forte triestino Marino Saletnik, campione italiano in carica, terminata in parità.

Mantenne sempre una buona reputazione a livello nazionale, e nell'immediato dopoguerra fu componente della Commissione Tecnica della ricostituita Federazione assieme a Lavizzari e Botta. Fu nominato commissario straordinario della FID nel 1955, e poi, in seguito al suo temporaneo scioglimento, consigliere della "Delegazione Tecnica Nazionale". Nel 1958, nel corso della premiazione dei Campionati Italiani, fu insignito del distintivo "Dama d'Oro".

Abbandonò il lavoro a 70 anni, cedendo le attività commerciali che deteneva, ma fu stroncato da un'embolia il 16 giugno 1979, giocando una partita a carte con un amico. La sua morte destò viva impressione nel mondo damistico cittadino e nazionale.